Salve cari amici,
questo periodo è stato un po’ turbolento e, sebbene non
abbia rinunciato ai libri e alla lettura, ho trascurato consapevolmente le
pagine del blog. Spero di riuscire a recuperare in fretta e di trovare in voi dei
lettori pazienti e comprensivi…
Oggi ritorno con la recensione di un romanzo che mi era
stato inviato tempo fa dall’autore (che ringrazio tanto!) e che vi avevo già
annunciato: Glenvion. Vol.1 La matrice, di Alessandro Falzani. Finalmente sono
riuscita a leggerlo tutto. Sebbene abbia avuto a disposizione una copia in
formato Doc (la miopia ha festeggiato!), vi fornirò la scheda dettagliata
dell’edizione vera e propria, sia in cartaceo che nella versione e-book.
Si tratta del primo episodio di un Fantasy (lotta tra bene e
male, cavalieri e armi sorprendenti) che
si mescola al Medical Thriller (una cura portentosa divide chi vuole
utilizzarla per portare giovamento all’umanità e chi invece persegue fini molto
meno umanitari).
La lettura è scorrevole, ricca di colpi di scena e di
personaggi, alcuni dei quali volutamente ambigui e pronti a tradire la fiducia del
protagonista o del lettore.
Personalmente amo libri più introspettivi e meno movimentati, ma
so che il genere è molto letto e apprezzato e non voglio che la mia personale
diffidenza verso cripte e segrete condizioni la recensione.
Titolo: Glenvion. Vol 1. La matrice
Autore: Alessandro Falzani
Edizione: CreateSpace Independent Publishing Platform;
Data di pubblicazione: 22 agosto 2014
Numero di pagine: 250
Genere: Fantasy
Formato: cartaceo con copertina flessibile e e- book
Costo: 0,89 euro (e-book formato Kindle); 11,35 euro (cartaceo)
Codice ISBN: 978-1500924157
Incipit
“Mechelen, Belgio. Anno
1569
Terra intrisa di sangue, brandelli di
carne, una moltitudine di cadaveri. Tutti i cavalieri sono caduti, eccetto tre.
Spalla a spalla fronteggiano gli ultimi nemici, le loro spade ormai pesanti si
levano a fatica e li difendono con rabbia da uomini meschini e avidi di potere.
Con una resistenza disperata si tengono ancora in vita, lo sforzo tuttavia è immenso,
troppe le perdite e il nemico più forte del previsto. La chimera, il motivo per
cui l’ordine è stato fondato, si sta ora dileguando davanti ai loro occhi. In
lontananza alcuni uomini fuggono; guadano il piccolo fiume sostenendo il
prezioso carico in quattro, forse cinque: questo è inerme, impassibile,
incapace, forse, di opporsi al proprio fato. A poco a poco scompare alla loro
vista, tuttavia il suo bagliore, la luce dorata persiste per alcuni minuti,
lasciando una scia che il loro sguardo possa seguire. Quella scena si imprime
nelle loro menti, ancorandosi all’amarezza del fallimento, mai la dimenticheranno. L’ultimo dei
nemici ora cade sotto la lama di Carlo Quinto, mentre Filippo e Francesco Maria
si abbandonano, logori dalla fatica, ripongono la fiducia nel loro compagno,
alla cui forza affidano l’ultima estenuante difesa. Ormai non si ode più il
sibilo delle lame che fendono l’aria, la morte ha portato il silenzio.”
L’Infeltrita
La premessa che funge da incipit ci
porta indietro nei secoli, all’origine della storia. I personaggi che
campeggiano sulla terra cosparsa di cadaveri sono illustri e contribuiscono a
rendere solenne l’avvio della narrazione.
Dopo poche pagine ci ritroviamo nel
presente, immersi in un contesto borghese e quotidiano, ma il mistero che aleggia
attorno al protagonista - il ventenne Patrich, improvvisamente guarito da una
malattia che tutti reputavano gravissima - ci suggerisce che presto il romanzo virerà
verso sentieri meno ordinari. E la promessa è subito mantenuta!
Il giovane scopre che la sua improvvisa
e repentina guarigione è da ricollegarsi all’assassinio del padre e a una cura prodigiosa,
non meglio precisata. Si mette così sulle tracce del proprio passato fuggendo
in Belgio, dove tutto ha avuto inizio. Qui si ritrova ad essere parte di un
ordine antichissimo di cavalieri, con i quali ha in comune una dote straordinaria,
che potrebbe essere volta al bene, ma alla quale mirano, purtroppo, le forze
del male, incarnate da una casa farmaceutica senza scrupoli. Inevitabile lo
scontro. Moltissimi i caduti. Il finale dolce-amaro lascia spazio (forse) agli
altri capitoli della saga.
Il lettore si trova immerso in una
girandola di peripezie: fughe, ipnosi, inseguimenti, scoperte, morti e feriti, reclusione
nel ventre di una torre, addestramento all’uso di armi eccezionali,
combattimenti, negoziati, sacrifici. I luoghi del romanzo sono perlopiù chiusi
e rispondono alla topica classica della
narrativa del mistero: la cattedrale, la torre sotterranea, la cripta fredda e
umida, il laboratorio segreto che si nasconde sotto la modernissima sede di una
casa farmaceutica potente. Antico e moderno si mescolano nell’immaginario che è
alla base della storia.
Glenvion, che dà nome al romanzo, è il luogo più
segreto e più interessante, quello in cui riposano le anime dei cavalieri dell’Ordine
del Toson d’Oro, anime che brillano attraverso fiaccole/fuochi fatui sempre
ardenti. Qui Patrich verrà investito di un compito importantissimo e
comprenderà che, quando si sceglie la strada del bene, non lo si fa mai per
motivi personali o mossi dallo spirito di vendetta. Il bene è gratuito ed è
rivolto agli altri, mai a sé. La matrice non deve farvi pensare alla sequenza inquietante di numeri e segni in caduta libera, a cui ci ha abituato una nota saga cinematografica: essa ha carne e sangue. Si chiama Katena ed è una bambina. In lei, le speranze e il futuro.
I personaggi che ruotano attorno al protagonista
sono molti e il lettore ha sempre la sensazione che nascondano più di quanto dicano.
La maggior parte conserva fino alla fine un’ambiguità di fondo che non permette
al lettore di capire, di primo acchito, se appartengano alla schiera del bene o
del male. E infatti i rovesciamenti sono continui. Ogni vicolo cieco nasconde
sempre il varco, il passaggio, la segreta. E dietro ogni muro, c’è un doppio
fondo dove qualcuno o qualcosa attende. Siano esse le ombre dei grandi
personaggi del passato o, direttamente dalla Colchide, il vello d’oro e spade
gemelle capaci di schivare e fendere i proiettili. Nelle saghe fantasy sembra
che non ci sia mai nulla di definitivo. Un punto fermo. Tutto è movimento e
metamorfosi, senza uscita. Come in certi video giochi di ultima generazione ad
ambientazione medievale. La descrizione dei luoghi fantasiosi obbedisce alle
esigenze dell’azione e passa in secondo piano, come una quinta. La narrazione è
giocata sulla spinta dell’ “urgenza”, del pericolo, della tensione. Non si
annoia!!
Mi piace la crescita del personaggio che
gradualmente si sposta dall’ordinario allo straordinario e, fra dubbi e
perplessità, si rimbocca le maniche e fa suo lo status di eroe (che non si è
scelto ma gli è toccato in sorte!)
Apprezzo molto la fantasia dell’autore
che ha inanellato episodi e avventure a ritmo incalzante, anche se a volte mi è
mancata la… pausa di riflessione, quei momenti in cui, messa da parte l’azione
o il dialogo, la voce narrante tratteggia e sfuma il carattere dei personaggi,
i loro intenti, le loro peculiarità, la loro evoluzione, in modo che la differenziazione
non scaturisca soltanto dalla diversità delle storie (qui tutte eccezionali e
fuori dalla norma), ma anche dalla psicologia. Mi sarebbe piaciuto l’ approfondimento
del rapporto padre- figlio, al di là della comprensibile e verosimile
adorazione che Patrich prova nei confronti del genitore defunto.
Lo consiglio a chi ama l’avventura, gli
effetti speciali e il meccanismo parossistico della peripezia.
A chi non cerca digressioni, ma azioni.
Concludo con una riflessione
sociologica. Mi scuso per il parolone e se mi allontano un po’ dalla strada
maestra.
In molti thriller ritrovo il tema della
cura portentosa, quella che le case farmaceutiche cercano di accaparrarsi ad
ogni costo e sulla base della quale conducono esperimenti più che mostruosi.
La scienza, nell’immaginario comune,
continua a essere guardata con diffidenza. I romanzi che propongono medicamenti straordinari leggono nei bisogni più radicati e intimi di ciascuno:
sconfiggere la malattia e la morte. Subito. Un desiderio forte che spesso si
accompagna alla sfiducia nei confronti della ricerca ufficiale, degli
esperimenti, della scienza in genere (non solo di quella de-genere) che sembra
lenta, parziale inefficace e troppo lontana dall’esperienza del profano, dall’immediatezza
delle sue sensazioni e delle sue osservazioni elementari. Più i linguaggi si
fanno complessi, più si accrescono le distanze e maggiori sono le aspettative.
Enormi, poi, le delusioni di fronte a fallimenti del tutto umani.
Al pensiero scientifico preferiamo
quello magico. Ecco perché continuiamo ad amare Frankestein o Dracula. E intellettuali
come Odifreddi un po’ci irritano (be', parlo per me).
La letteratura assorbe e dilata paure,
aspettative e delusioni, le trasforma. Produce mostri e mondi fantastici. Vie
di fuga che possono essere paradisi o inferni.
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