giovedì 20 novembre 2014

Chi ha paura del Fantasy? Glenvion, la matrice di Alessandro Falzani.

Salve cari amici,
questo periodo è stato un po’ turbolento e, sebbene non abbia rinunciato ai libri e alla lettura, ho trascurato consapevolmente le pagine del blog. Spero di riuscire a recuperare in fretta e di trovare in voi dei lettori pazienti e comprensivi…
Oggi ritorno con la recensione di un romanzo che mi era stato inviato tempo fa dall’autore (che ringrazio tanto!) e che vi avevo già annunciato: Glenvion. Vol.1 La matrice, di Alessandro Falzani. Finalmente sono riuscita a leggerlo tutto. Sebbene abbia avuto a disposizione una copia in formato Doc (la miopia ha festeggiato!), vi fornirò la scheda dettagliata dell’edizione vera e propria, sia in cartaceo che nella versione e-book.
Si tratta del primo episodio di un Fantasy (lotta tra bene e male, cavalieri e armi sorprendenti)  che si mescola al Medical Thriller (una cura portentosa divide chi vuole utilizzarla per portare giovamento all’umanità e chi invece persegue fini molto meno umanitari).
La lettura è scorrevole, ricca di colpi di scena e di personaggi, alcuni dei quali volutamente ambigui e pronti a tradire la fiducia del protagonista o del lettore.
Personalmente amo libri più introspettivi e meno movimentati, ma so che il genere è molto letto e apprezzato e non voglio che la mia personale diffidenza verso cripte e segrete condizioni la recensione.

Titolo: Glenvion. Vol 1. La matrice

Autore: Alessandro Falzani

Edizione: CreateSpace Independent Publishing Platform; 

Data di pubblicazione: 22 agosto 2014

Numero di pagine: 250

Genere: Fantasy

Formato: cartaceo con copertina flessibile e e- book

Costo: 0,89 euro (e-book formato Kindle);  11,35 euro (cartaceo)

Codice ISBN: 978-1500924157


Incipit
Mechelen, Belgio. Anno 1569
Terra intrisa di sangue, brandelli di carne, una moltitudine di cadaveri. Tutti i cavalieri sono caduti, eccetto tre. Spalla a spalla fronteggiano gli ultimi nemici, le loro spade ormai pesanti si levano a fatica e li difendono con rabbia da uomini meschini e avidi di potere. Con una resistenza disperata si tengono ancora in vita, lo sforzo tuttavia è immenso, troppe le perdite e il nemico più forte del previsto. La chimera, il motivo per cui l’ordine è stato fondato, si sta ora dileguando davanti ai loro occhi. In lontananza alcuni uomini fuggono; guadano il piccolo fiume sostenendo il prezioso carico in quattro, forse cinque: questo è inerme, impassibile, incapace, forse, di opporsi al proprio fato. A poco a poco scompare alla loro vista, tuttavia il suo bagliore, la luce dorata persiste per alcuni minuti, lasciando una scia che il loro sguardo possa seguire. Quella scena si imprime nelle loro menti, ancorandosi all’amarezza del fallimento, mai la dimenticheranno. L’ultimo dei nemici ora cade sotto la lama di Carlo Quinto, mentre Filippo e Francesco Maria si abbandonano, logori dalla fatica, ripongono la fiducia nel loro compagno, alla cui forza affidano l’ultima estenuante difesa. Ormai non si ode più il sibilo delle lame che fendono l’aria, la morte ha portato il silenzio.

L’Infeltrita
La premessa che funge da incipit ci porta indietro nei secoli, all’origine della storia. I personaggi che campeggiano sulla terra cosparsa di cadaveri sono illustri e contribuiscono a rendere solenne l’avvio della narrazione.
Dopo poche pagine ci ritroviamo nel presente, immersi in un contesto borghese e quotidiano, ma il mistero che aleggia attorno al protagonista - il ventenne Patrich, improvvisamente guarito da una malattia che tutti reputavano gravissima - ci suggerisce che presto il romanzo virerà verso sentieri meno ordinari. E la promessa è subito mantenuta!
Il giovane scopre che la sua improvvisa e repentina guarigione è da ricollegarsi all’assassinio del padre e a una cura prodigiosa, non meglio precisata. Si mette così sulle tracce del proprio passato fuggendo in Belgio, dove tutto ha avuto inizio. Qui si ritrova ad essere parte di un ordine antichissimo di cavalieri, con i quali ha in comune una dote straordinaria, che potrebbe essere volta al bene, ma alla quale mirano, purtroppo, le forze del male, incarnate da una casa farmaceutica senza scrupoli. Inevitabile lo scontro. Moltissimi i caduti. Il finale dolce-amaro lascia spazio (forse) agli altri capitoli della saga.

Il lettore si trova immerso in una girandola di peripezie: fughe, ipnosi, inseguimenti, scoperte, morti e feriti, reclusione nel ventre di una torre, addestramento all’uso di armi eccezionali, combattimenti, negoziati, sacrifici. I luoghi del romanzo sono perlopiù chiusi e rispondono alla topica classica della narrativa del mistero: la cattedrale, la torre sotterranea, la cripta fredda e umida, il laboratorio segreto che si nasconde sotto la modernissima sede di una casa farmaceutica potente. Antico e moderno si mescolano nell’immaginario che è alla base della storia.
Glenvion, che dà nome al romanzo, è il luogo più segreto e più interessante, quello in cui riposano le anime dei cavalieri dell’Ordine del Toson d’Oro, anime che brillano attraverso fiaccole/fuochi fatui sempre ardenti. Qui Patrich verrà investito di un compito importantissimo e comprenderà che, quando si sceglie la strada del bene, non lo si fa mai per motivi personali o mossi dallo spirito di vendetta. Il bene è gratuito ed è rivolto agli altri, mai a sé.  La matrice non deve farvi pensare alla sequenza inquietante di numeri e segni in caduta libera, a cui ci ha abituato una nota saga cinematografica: essa ha carne e sangue. Si chiama Katena ed è una bambina. In lei, le speranze e il futuro.

I personaggi che ruotano attorno al protagonista sono molti e il lettore ha sempre la sensazione che nascondano più di quanto dicano. La maggior parte conserva fino alla fine un’ambiguità di fondo che non permette al lettore di capire, di primo acchito, se appartengano alla schiera del bene o del male. E infatti i rovesciamenti sono continui. Ogni vicolo cieco nasconde sempre il varco, il passaggio, la segreta. E dietro ogni muro, c’è un doppio fondo dove qualcuno o qualcosa attende. Siano esse le ombre dei grandi personaggi del passato o, direttamente dalla Colchide, il vello d’oro e spade gemelle capaci di schivare e fendere i proiettili. Nelle saghe fantasy sembra che non ci sia mai nulla di definitivo. Un punto fermo. Tutto è movimento e metamorfosi, senza uscita. Come in certi video giochi di ultima generazione ad ambientazione medievale. La descrizione dei luoghi fantasiosi obbedisce alle esigenze dell’azione e passa in secondo piano, come una quinta. La narrazione è giocata sulla spinta dell’ “urgenza”, del pericolo, della tensione. Non si annoia!!
Mi piace la crescita del personaggio che gradualmente si sposta dall’ordinario allo straordinario e, fra dubbi e perplessità, si rimbocca le maniche e fa suo lo status di eroe (che non si è scelto ma gli è toccato in sorte!)
Apprezzo molto la fantasia dell’autore che ha inanellato episodi e avventure a ritmo incalzante, anche se a volte mi è mancata la… pausa di riflessione, quei momenti in cui, messa da parte l’azione o il dialogo, la voce narrante tratteggia e sfuma il carattere dei personaggi, i loro intenti, le loro peculiarità, la loro evoluzione, in modo che la differenziazione non scaturisca soltanto dalla diversità delle storie (qui tutte eccezionali e fuori dalla norma), ma anche dalla psicologia. Mi sarebbe piaciuto l’ approfondimento del rapporto padre- figlio, al di là della comprensibile e verosimile adorazione che Patrich prova nei confronti del genitore defunto.
Lo consiglio a chi ama l’avventura, gli effetti speciali e il meccanismo parossistico della peripezia.
A chi non cerca digressioni, ma azioni.
  

 Zoom
Concludo con una riflessione sociologica. Mi scuso per il parolone e se mi allontano un po’ dalla strada maestra.
In molti thriller ritrovo il tema della cura portentosa, quella che le case farmaceutiche cercano di accaparrarsi ad ogni costo e sulla base della quale conducono esperimenti più che mostruosi.
La scienza, nell’immaginario comune, continua a essere guardata con diffidenza. I romanzi che propongono medicamenti straordinari leggono nei bisogni più radicati e intimi di ciascuno: sconfiggere la malattia e la morte. Subito. Un desiderio forte che spesso si accompagna alla sfiducia nei confronti della ricerca ufficiale, degli esperimenti, della scienza in genere (non solo di quella de-genere) che sembra lenta, parziale inefficace e troppo lontana dall’esperienza del profano, dall’immediatezza delle sue sensazioni e delle sue osservazioni elementari. Più i linguaggi si fanno complessi, più si accrescono le distanze e maggiori sono le aspettative. Enormi, poi, le delusioni di fronte a fallimenti del tutto umani.
Al pensiero scientifico preferiamo quello magico. Ecco perché continuiamo ad amare Frankestein o Dracula. E intellettuali come Odifreddi un po’ci irritano (be', parlo per me).
La letteratura assorbe e dilata paure, aspettative e delusioni, le trasforma. Produce mostri e mondi fantastici. Vie di fuga che possono essere paradisi o inferni.


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