mercoledì 17 settembre 2014

Romanzo tentacolare. L'armata dei sonnambuli di Wu Ming.

Finalmente oggi vi parlo di Wu Ming e de L’armata dei sonnambuli.
Un romanzo grande e avviluppante, per chiudere l’estate in bellezza. E cioè con un buon libro e un ricordo positivo.
Vi parlerò di un romanzo a più voci, di un intreccio avvincente e di quella fanta-storia (o storia infiorettata o storia maggiorata) che è il romanzo storico, qui arricchito da un surrealismo fosco e da un’ironia di fondo, cattiva e tragica, in cui io - lettrice priva di buona fede - non posso che rintracciare allusioni e strali verso un’attualità non meno caotica, illusa e disperata.
La curiosità con cui mi sono avvicinata a questo libro accoglieva diverse motivazioni.
L’autore è un collettivo di scrittori: mi domandavo come facessero a disciplinarsi, a dividere il lavoro, ad assicurare unità al racconto.
La storia è ambientata nel periodo del Terrore. Un’epoca così convulsa da rappresentare da sempre, l’autentico spauracchio (terrore, ma con la lettera minuscola!) di molti studenti di storia moderna.
La copertina riproduce la maschera di Scaramouche. Io l’associavo al medico della peste, la cui lunga protesi sul naso serviva a tenerlo lontano dal contagio. La stessa immagine mi riportava contemporaneamente alle cupe maschere di Kubrick, in Eyes Wide Shut. Cercavo un nesso fra queste tre suggestioni e penso di averlo trovato.
Mi sono tuffata senza tema nelle 796 pagine e adesso che le ho finite, la nostalgia della bella stagione si mescola a una nostalgia altrettanto acuta per la storia di Marie Noziére, di Leo Modonnet, del Cavaliere d’Yvers, del magnanimo d’Amblanc e per la folla di Parigi, il foborgo, il manicomio, i boschi cupi dell’Alvernia… fantasmi da romanzo - che nessuna storiografia ufficiale ammetterebbe. Essi trasportano il lettore in lidi lontani, ma fra temi, accidenti, corsi e ricorsi decisamente attuali.
Quanta, ma quanta carne sul fuoco!!
Wu Ming - L'armata dei sonnambuli
Einaudi stile libero BIG 
Incipit
Adunchi come becchi di rapaci, arrossati dal gelo del mattino, bitorzoluti e tumefatti dal bere. Schiacciati da un colpo di piatto ricevuto servendo la patria o celebrando il dio Bacco. Storti da un pugno ben piazzato in una rissa tra cani che si contendono un osso, una moneta o la fessura d’una donna. Mozzati dal fendente di un creditore o di un assassino maldestro. Larghi e rubizzi, con narici enormi e cavernose. […  ]
I nasi del popolo lo disgustavano. Grondanti per il freddo, coperti di nei e verruche, quegli organi deformi ricordavano le parti anatomiche di bestie selvagge, benché a un livello più basso della Creazione, buoni soltanto per annusare i miasmi dei bassifondi
L’Infeltrita
Nasi - maschere - peste. La rivoluzione è vista come una mascherata grottesca, una pestilenza di cui si teme il contagio. L’ossessione per i nasi, da parte del personaggio che incarna il potere reazionario, esprime con chiarezza timore di contaminazione e di imbastardimento. Registrare miasmi e puzze in una folla scomposta è espressione di massimo disprezzo. Lunghissimo per contrappasso sarà il naso di Scaramouche, l’Ammazzaincredibili, eroe che incarna la folla, il popolo, la rivolta.
L’Ouverture del romanzo è di grande e macabra teatralità. Da cinque punti di vista differenti vediamo rotolare testa di Luigi Capeto, re di Francia, il 21 gennaio 1793, meglio noto come Luigi XVI. Il  tempo della storia copre un arco temporale che si allunga sino al 1795. Ricostruisce le fasi più convulse della rivoluzione dalla Convenzione al Termidoro.
La folla di Parigi, che chiede pane e uguaglianza, è un’idra le cui cento teste si divoreranno scambievolmente, perdendo tutto quello che sono riuscite a ottenere e senza raggiungere quanto avevano sperato.
La rivoluzione si fa controrivoluzione in un batter di ciglia, e questa è la Storia: il Romanzo apre varchi e strappi nel suo tessuto. E lì ci mette i propri fantasmi, figure che non appartengono all’asse del vero, che nel reale scorrere dei secoli sono state poco più che comparse, o semplicemente….non sono state!
Cinque voci: il disprezzo dei monarchici che si nascondono nella folla e preparano un complotto oscuro; la ferocia esaltata della folla belluina; la curiosità della popolana Marie Noziére e di suo figlio; l’allegra copula di due attori da strapazzo, Scaramouche e Colombina, in un androne ai margini della folla in visibilio; la calma pacata di Orphée D’Amblanc, medico mesmerista, che non rinuncia al dovere delle sue cure e al piacere di dar sollievo all’asma della bella signora Girard.
Al centro, Madama Ghigliottina, protagonista dell’epoca, proiezione di furori e di un contraddittorio senso di giustizia, meccanismo incendiario destinato a incepparsi per uso scriteriato e progressivamente banalizzato.
I cinque punti di vista saranno mantenuti per tutto il romanzo e porgeranno altrettanti fili narrativi, all’inizio lontanissimi, ma poi destinati a intrecciarsi nelle convulse pagine finali, dove buoni e cattivi si fronteggiano scopertamente.
Il romanzo ha il suo punto di forza proprio nella pluralità delle voci, nel continuo alternarsi di prospettive che inquadrano la storia da lati diversi consentendo al lettore una visione globale e relativa al contempo.
Sprezzante e meschina, la voce del nobile complottista; volgare e oscena quella della plebe, a volte feroce e spietata, a volte stolta, spesso illusa; vuota e retorica la voce dell’attore fanfarone; moderna e tragica quella di Marie, donna volutamente sola, che reclama diritti, che agisce politicamente in un mondo ancora molto maschile.
Il narratore onnisciente, di manzoniana memoria, si rompe, si frantuma in tante tessere che il lettore deve ricostruire, ma il mosaico alla fine è perfetto. La struttura è solida, tiene sino alla fine quando il ritmo narrativo si fa incalzante ed è davvero difficile interrompere la lettura: perché la storia ufficiale la conosciamo tutti, ma dentro di noi speriamo nella forza plasmatrice della letteratura, nella sua capacità di sublimare, di creare grandezza dove c’è stata marginalità, di darci una vittoria dove, innegabilmente, si è palesata una sconfitta….
Il romanzo vero e proprio si interrompe nella conclusione dell’atto quarto, perché nell’atto quinto “Come va a finire” vengono presentate le fonti, quelle che hanno permesso la costruzione dell’intreccio, l’individuazione dei personaggi e degli scenari. Qui incontriamo la Storia ufficiale, un po’ più grigia, non meno complessa.
Perché leggerlo?
Molti motivi possono condurre ad apprezzare questo romanzo, che quindi mi sento di consigliare a un pubblico vasto e variegato.

Lo si può leggere, per esempio, privilegiando il filone politico. Il teatro della rivoluzione appare di un’attualità sconcertante e dolorosa; benché sia sporco di sangue e risonante delle più nobili dichiarazioni, visto dall’esterno e con occhio critico, esso appare più simile alla farsa, uno spettacolo che si fa progressivamente grottesco e vuoto.
Lo si può leggere inseguendo un eroe che si aggira mascherato. Scaramouche, il lungo naso, un bastone micidiale come arma e corde e funi per lanciarsi fra i tetti come un supereroe da “foborgo” che nella rivoluzione cerca solo un grande palcoscenico dove risarcire l’ego, schiaffeggiato dalla malasorte (e da un talento discutibile) che non gli ha permesso di emergere come attore.
Lo si può leggere se si ama il gotico, i toni foschi, il mistero, l’orrido, inseguendo il dottore D’Amblanc nell’oscura regione dell’Alvernia, dove fenomeni di licantropia e possessioni attestano la presenza di un potere malvagio che plasma menti ingenue per perseguire un piano reazionario e micidiale.
Lo si può leggere per la riflessione sui temi della psiche, del rapporto fra medico-paziente, analista-analizzato. Il bene e il male si contendono il metodo para-scientifico dell’ipnosi e del transfert. Usato  come cura dal buon D’Amblanc, ma come esercizio di potere dallo spregiudicato Cavaliere D’Yvres. Così, l’antro di Bicêtre, ricovero per menti alienate, è un luogo conteso tra chi tenta di offrire reale sollievo al male e chi si serve dell’ipnosi per sperimentare il proprio potere. Buona e cattiva scienza si fronteggiano in un topos classico, qui trattato con originalità.
Lo si può leggere in una prospettiva “di genere”, storia di donne che rivendicano diritti, che agiscono politicamente, che finiscono schiacciate non tanto dal maschilismo dominante, quanto dalla mancata  solidarietà fra loro, dal conformismo più forte d’ogni rivolta.
Lo si può leggere per tutti i motivi elencati finora, strato a strato, lasciandosi abbracciare da un romanzo totale e tentacolare. Romanzo di romanzi eppure unitario e solido.

Zoom
Gli spunti per riflessioni sull’attualità sono troppi. Non li elenco tutti, sebbene, con diligenza, abbia sottolineato, passo dopo passo, tutto ciò che metteva in moto riflessioni e confronti. Il romanzo tratteggia uno scenario apocalittico, lo trovo (fuor di letteratura, fuori dalla invenzione e dal mascheramento) specchio attendibilissimo del nostro tempo e delle sue più grame derive.
Nella ferocia cieca e spesso ottusa della folla, incapace di discernimento, sensibile solo alle ragioni della pancia, scettica di fronte alla legge e di fatto manovrabile, pericolosa per sé e per gli altri, risiede la vera sconfitta, il fallimento della rivoluzione. Nell’istinto senza testa, senza ragione. Nella politica che non sa dialogare, ma solo epurare. Nella giustizia sommaria.
L’armata dei sonnambuli, che dà nome al romanzo, è un esercito di uomini plagiati dal Cavaliere di cui eseguono, a distanza, la volontà senza badare al dolore fisico, all’istinto di  sopravvivenza. Automi senza sguardo, senza pensieri, senza anima. Il Cavaliere pesca nel vivaio della Gioventù Dorata - non nobile, non ricca, non raffinata, ma pronta a tutto pur di esserlo. Scherani senza scrupoli, imbellettati, privi di volontà propria.
Che dire? Di folle cieche e di sonnambuli sono ancora piene le nostre fosse.

Per questo mi auguro che la scuola, l’educazione, il mondo della cultura facciano di più e si aprano democraticamente a tutti...

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