venerdì 29 agosto 2014

Non tutti i bastardi sono di Vienna - Andrea Molesini

Vi posto oggi una vecchia recensione nata in occasione di un incontro con l'autore che ebbi la fortuna di presentare nel corso del Progetto "Spesso chi legge", organizzato dal Liceo Scientifico G. Tarantini (Gravina in Puglia, BA) per i suoi studenti. Un appuntamento che si ripete anno dopo anno, incrementando sempre più il numero di lettori, sia adulti che ragazzi. Anima del progetto è una grande Prof. collega amica intellettuale: Elvira Loiudice. Che non vedo da tanto e mi manca molto.
Il romanzo di cui voglio parlarvi è Non tutti i bastardi sono di Vienna, di Andrea Molesini, edito da Sellerio, vincitore del Premio Campiello 2011.
Poiché la presentazione dell'opera si rivolgeva a una platea di studenti e professori che avevano già letto il romanzo, nella mia recensione c'è un po' di spoiler: tranquilli, il finale non viene rivelato! I particolari raccontati servono a farvi venire l'acquolina in bocca.
In questi anni, Andrea Molesini ha pubblicato, sempre per Sellerio, altri due romanzi: La primavera del lupo e Presagio.
Di lui ricordo la statura imponente e maestosa, l'accento veneto, dolce e pacato, e....l'infinita pazienza!! Prima di avere diritto di parola, seppe ascoltare in silenzio (e stoicamente) una fila di discorsi, omaggi, saluti, introduzioni e in ultimo, la presentazione che potete leggere qui sotto, a firma della sottoscritta - non esattamente campione di sintesi, benché la definiamo "infeltrita" - ....che vergogna, parlai per più di mezz'ora! 

Non mi ha picchiato, ma forse avrebbe dovuto. 


L'Infeltrita
Nel corso della Grande Guerra, a Refrontolo.
Siamo vicini nel tempo e nello spazio alla disfatta di Caporetto. Le difese italiane sono state sfondate da pochi giorni, l’atmosfera è cupa, pesante. La notte del venerdì 9 Novembre 1917 il capitano Korpium e il suo manipolo di soldati irrompe su villa Spada, entra di prepotenza nella vita di tutti i suoi abitanti. Da questo momento nulla sarà più come prima. Assediati in casa, gli Spada dovranno vivere col nemico sotto lo stesso tetto.
La guerra irrompe nella vita quotidiana di Paolo, un diciassettenne orfano, un ragazzo curioso che si intrufola dappertutto, che ama ascoltare, vedere, conoscere e che sarà testimone e narratore di tutte le vicende. All’inizio è solo un“ceo”, poi, esperienza dopo esperienza, uomo fatto, provato.
La guerra irrompe nella vita di nonno Guglielmo, uomo dotato d’ironia, cinico a tratti, con un forte senso delle gerarchie e una passione per i proverbi e la scrittura. Guglielmo è lo scrittore che non ha il coraggio di uscire allo scoperto, lo scrittore rintanato nella torre, capace di poche pagine straordinariamente accurate, ma privo della volontà sufficiente per ultimare l’opera tutta. Ha grandi idee, ma poco coraggio.
La guerra irrompe nella vita di Donna Maria, la zia di Paolo, una donna coriacea e piena di grazia, mascolina e femminile al contempo, capace di fermezza e diplomazia.
La guerra irrompe nella vita di nonna Nancy, una donna che ha un “albero di clisteri” nel bagno e una irreverente “filosofia del clistere”, perché, a suo dire, se tutti gli uomini si purgassero con regolarità il mondo (forse) non sarebbe tanto corrotto; ha inoltre la passione per la matematica e un Terzo Fidanzato fra i piedi (per farci sorridere in mezzo a tanto orrore).
La guerra irrompe nella vita di Teresa, una cuoca brutta oltre ogni dire e che, ahinoi!, parla un dialetto stretto, ma che si fa capire nella sua devozione profonda ai signori e alle pentole, al foghér, alla sua cucina, sacra come un tempio, che i soldati occupanti profanano con le loro suole pesanti, le voci selvagge, con la violenza che sventra armadi e credenze.
La guerra irrompe nella vita di Loretta, figlia di Teresa, una ragazza cotta dall’invidia e corrotta dal livore verso i signori che hanno tutto, mentre lei non ha niente, solo avanzi e fatica.
La guerra irrompe nella vita di Renato Manca, un custode che non è un custode, ma una spia del S.I, un gigante capace di bestialità e di eroismo.
La guerra irrompe nella vita di Giulia, la folle, la bella, la coraggiosa, la bizzarra, la donna che fa conoscere al giovane Paolo i primi sussulti d’amore, che lo inizia al mistero della sessualità in boccio.
La guerra irrompe sulle case dei contadini e le svuota. Irrompe sulla chiesa del paese e ne porta via la voce (le campane, perché il metallo serve). Irrompe nella vita delle ragazze del paese, cinque, e le violenta sotto gli occhi della Vergine, in chiesa. Perché La guerra è violenza sempre, senza scampo.

Dopo i tedeschi ci saranno gli austriaci, dopo Korpium, Von Feilitzch. L’invasore cambia volto e insegne a Villa Spada, non la sostanza.
Guerra e pace, mi viene da dire, scomodando Tolstoj, il Tolstoj dei bivacchi, degli accampamenti dove soldati, ufficiali e capitani aspettano la guerra, ripulendo le armi, giocando a carte, bevendo e cucinando.
La guerra che irrompe nella vita quotidiana è questo. E’ una guerra che imbastardisce tutto ciò che tocca. Imbastardisce i luoghi: la chiesa che non è più chiesa, ma teatro di violenza, poi scuola improvvisata, in ultimo ospedale da campo, galleria mostruosa di feriti e agonizzanti; il cimitero quasi una latrina e la villa, un accampamento. La guerra imbastardisce i cibi, i sapori (la carne che forse è gatto, forse topo, forse chissà), gli odori. Ibrida tutto. La famiglia Spada pure si trasforma, diventa un esercito con un suo capitano (Donna Maria) gli ufficiali, le spie, i soldati, la diplomazia che si esplica nelle cene (luoghi neutri di patteggiamento, capolavoro di protocollo e di etichetta), gli alleati, i disertori, i caduti, gli eroi! La guerra sta imbarbarendo anche noi, dice Paolo a un certo punto. D’altro canto, i soldati accampati perdono la voglia di combattere: il contatto con la vita domestica degli Spada e la lontananza dalla trincea li infiacchisce, li smemora, li rende attaccati alla vita nei suoi aspetti più quotidiani. 
La Grande Guerra resta sullo sfondo, ma non si dimentica. Indizi la rivelano di continuo (la maschera antigas ci ricorda la battaglia di Ypres, l’aereo su cui vola Brian, gli alleati, e la trincea è sempre nei pensieri dei personaggi, anche se non viene descritta).
Il sentimento di Caporetto grava su tutte le pagine, è un senso di stanchezza diffusa, di angoscia opprimente. E tuttavia non manca Vittorio Veneto, la speranza, dalla prima all’ultima pagina, e la speranza viene dal Piave (anche lui combatte la sua guerra con gli italiani), occhieggia qui e là, mormora, nelle parole dei personaggi, nei loro pensieri, nei loro atti di eroismo.
Dopo questa guerra, nulla sarà più come prima. “La guerra fa le cose semplici”, rimescola le gerarchie, le certezze. Gli Spada, per esempio, sono aristocratici e riconoscono nei capitani che giungono alla villa dei loro consimili. Hanno avuto la stessa educazione, la stessa cultura, condividono le medesime passioni e persino una affinità elettiva. I contadini di Refrontolo, invece, sono guardati con disprezzo e con sospetto, sono diversi, provano invidia e rancore verso i signori, sono pronti a tradire. La guerra rimescola le carte. I capitani nemici sono nemici, e inflessibili. Il popolo di Refrontolo invece si stringe ai signori: con le facce gravi, scure, tutto il paese è presente alla scena finale. Non ci sono più contadini o nobili, signori o serve, ma austro-germanici contro italiani. Lo ha capito anche il nonno Guglielmo, così scettico! 
Nella tragedia della guerra, l’Italia, “questa operazione mal riuscita” …per la prima volta, forse, riesce!

La scrittura di Andrea Molesini è una scrittura di cose, di oggetti, di attrezzi, di odori, di puzze, di consistenze. E’ una scrittura fatta di materia, lontana dall’astrazione. Una scrittura sensuale perché sollecita tutti i sensi. E’ una scrittura che non vuole edulcorare, che non sa alleggerire o nascondere, perché ogni censura o alleggerimento sarebbe affettazione. Anche le metafore non servono ad ornare una prosa che non ne ha bisogno, servono a fotografare i concetti a fare concreto l’astratto, a dare consistenza a ciò che sarebbe smaterializzato.
Le parole in questo romanzo pesano perché non sono casuali, e si sente che vengono dalla ricchezza di chi, traducendo, ha imparato che non tutti i sinonimi sono uguali e che ci sono immagini nate per far male al lettore nella loro sincerità e crudezza, e che sarebbe un peccato mortale smussarle. Questa lettura è stata particolarmente importante per i ragazzi del nostro liceo, non solo per il portato di riflessioni che ne è scaturito, ma anche perché ha fatto comprendere loro quanto uno strumento linguistico così pieno possa essere seducente: ci permette di descrivere, narrare, esprimere, scavare ciò che vediamo, viviamo, sentiamo, pensiamo senza approssimazione, e affascinando. 
E in un’epoca di spaventosa semplificazione lessicale questo è, fuori da ogni dubbio, sorprendente.
Marzo 2012, Gravina in Puglia
Liceo G. Tarantino

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