mercoledì 25 giugno 2014

nemico amico amante, il più bello dei bellissimi.


Scrive Margherita Oggero [1]: “I racconti contenuti in Nemico, amico, amante…sono tutti bellissimi e Quello che si ricorda è, a mio parere, il più bello dei bellissimi”.
Non so togliermi dalla testa questo giudizio e, infatti, quando mi immergo in una nuova raccolta di Alice Munro, immediatamente inizio a cercare tra i racconti il più bello dei bellissimi. E tra le raccolte, la più bella tra le bellissime. Sì, perché è una posta che si alza sempre di più, un tendere verso l’alto, sulle corde di una perfezione che dà le vertigini. Avete presente una nota acuta e pulita? Tagliente e precisa, senza sbavature, in equilibrio estremo tra le armoniche? Leggere la Munro per me è così, e ci resto stordita

Alice Munro, Nemico, amico, amante
ET Einaudi

Explicit di Ortiche, da Nemico amico amante
Quelle piante dai grandi fiori rosa- violacei non sono ortiche. Ho scoperto che si chiamano eupatorium purpureum. Le ortiche nelle quali dovevamo essere finiti sono una specie assai più ordinaria, dai fiori viola più pallido, con steli dotati per tutta la lunghezza di una crescita fitta di spine urticanti. Dovevano esserci anche quelle, inosservate, in mezzo al rigoglio del prato incolto
Alice Munro ci offre spesso ortiche non viste. Il lettore deve esserci preparato.

L'infeltrita:  sul sentimento laterale
Mi sono domandata a lungo che cosa renda questi racconti peculiari. La sensibilità femminile, un po' algida di una scrittrice con un forte senso della misura? Non credo sia solo una questione di "genere", come ogni tanto si suggerisce, né solo di pulizia, precisione, eleganza, armonia e quant'altro giustamente si attribuisce al linguaggio di Alice Munro.  
Io trovo la chiave di volta un po' di sbieco, a lato.  
Alice Munro sa rendere la deviazione improvvisa dei pensieri, gli errori di valutazione, i binari interrotti di un’intenzione mal espressa, i non detti che si fanno gesti- manie-forme, l’isteria che si nasconde e si contiene nel prato inglese della buona educazione, l’ingranaggio che cigola, la stonatura appena accennata, il ricordo manipolato, le rimozioni.
Ogni racconto parte da un sentimento laterale, mai troppo esplicito o troppo a fuoco, e ci lavora instancabilmente, braccandolo da ogni parte, inseguendolo nei camuffamenti, nella quotidianità minuziosa, nei rapporti familiari, convenzionali e complessi, grevi d’invidie e lacerazioni, che nascondono crudeltà e pochezza, una più o meno precoce perdita di innocenza. 
È un sentimento che non vedremo mai al centro dell’obiettivo, ma sarà parzialmente nascosto dall’urgenza del contesto che tenta di distrarre l’attenzione dei personaggi e di chi li legge. E poi, clak! Nel racconto scatta qualcosa. Non intendo folgorazioni o epifanie che si presentano con fuochi d’artificio o punti esclamativi, come ho fatto io. È uno scatto che si rileva appena, sottotraccia, che per un attimo scopre le carte, e ci permette di sclerotizzare il personaggio, il suo destino, ciò che gli è mancato o ciò che ha raggiunto. Quasi sempre sono i dettagli che fanno la differenza, che danno al racconto profondità quando non te lo aspetti e, con pochi tocchi, permettono al lettore di penetrare, in un sol punto, l’universo intero del personaggio nei suoi voli e nei suoi vuoti, nella futilità e nello strazio -  e di farlo proprio.
Poi il flusso riprende e il personaggio ne è di nuovo travolto- arredi, vesti animali, fiumi. Eccolo, il senso di precarietà, che aleggia sulle parole, sui personaggi, sulle storie senza mai incarnarsi stabilmente in simboli, metafore, immagini certe e definitive. 
È una sensazione pervasiva che sentiamo nel fluire del racconto. La precarietà è nel tempo che cambia i suoi scenari con rivoluzioni continue, con piccoli - irreversibili- terremoti.
Titoli e finali hanno in sé qualcosa di questa "lateralità". Sono il dettaglio che fa la rivoluzione, ma che può anche passare inosservato.

Zoom:
Cosa mi resta di Nemico amico amante? Un passo, su tutti, passaggio sbilenco d’anima, che è ormai parte del mio immaginario poetico. E poi il racconto “Quello che si ricorda”, il più bello dei bellissimi, che non voglio commentare, solo rileggere e consigliare - con forza.

Mentre nella sua testa passavano certi pensieri, Jinny aveva fatto la cosa più semplice che poteva succedere in un campo di mais: si era persa.” 
Perdersi in un campo di mais. C’è qualcosa di inquietante e di ipnotico nella solarità di un campo di granoturco. Il giallo grasso delle pannocchie o la ripetizione ottusa dei filari moltiplicati sull’ampia distesa hanno in sé il senso dello smarrimento, una vertigine spaventosa e fascinosa insieme. La donna di cui si parla ne Il ponte galleggiante è confusa, ma inizialmente non vuole ammetterlo, resta caparbiamente aggrappata alla solidità, alla forza, alla sua volontà ferrea. Mentre i pezzi della sua vita si scollano e assumono coordinate nuove, con praticità ed efficienza la donna cerca ancora di guidare il corso della propria esistenza -  da protagonista. Poi molla. Si perde. In un campo di mais. “Le nuvole avevano di nuovo coperto il sole, perciò non sapeva dire da che parte fosse l’ovest”. Primi tentativi di orientamento, poi la resa. “Si fermò e riuscì a udire soltanto il fruscio del granoturco, e il rumore lontano del traffico”.
Quando Jinny allenta la presa e si abbandona alla totale mancanza di senso, tutto cambia. E la vita le si offre ancora nei suoi ultimi palpiti, come “una specie di leggerezza indulgente e una voglia, quasi, di ridere”.  È una tregua dal dolore e dal senso di vuoto che ha il valore di un momento. In quel momento, la poesia. E la leggerezza che custodisce echi e risonanze non soltanto letterarie.

Quello che provava era una specie di leggerezza indulgente, quasi una voglia di ridere.
Un fremito di affettuosa ilarità, che ebbe la meglio su tutto il dolore e il senso di vuoto,
per il momento.

















[1] Scrittrice. Creatrice, tra le altre opere, dei racconti che hanno ispirato Provaci ancora prof

2 commenti:

  1. L'ho letto e mi è piaciuto molto. Leggendo avevo la sensazione di guardare quelle come se ci fossi dentro.

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  2. Quale dei racconti ti è piaciuto di più?

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